Con Craig il teatro ha spalancato le porte al “simbolismo scenico” in cui la sola presenza di luci, costumi ed attori mette in scena l’impalpabile emotività di un’idea, concretizzandola attraverso forme in continuo dinamismo spaziale. Con Craig si comincerà a valutare la valenza estetica ed emotiva della luce sulla scena, attraverso una resa luministica non più artigianale ma artistica, una resa che spesso riesce a fare a meno di qualunque scenografia. L’utilizzo del colore luminoso permetterà di raccontare gli stati d’animo in una maniera prima impensabile e solo con Craig si comincerà a parlare di illuminotecnica come di un linguaggio della scena al pari degli altri.
Leggere gli scritti del regista teatrale Edward Gordon Craig relativi alla sua concezione del teatro e della scena significa capire come ha avuto origine il concetto moderno di messinscena.
Prima del XX secolo non era scontato che il rapporto del pubblico con la scena fosse, come accade oggi, di tipo soggettivo ed emozionale, e che lo spettatore, dal canto suo, contribuisse a completare il senso della rappresentazione.
Se è stata possibile una visione del teatro come di una sorta di rituale che andasse oltre la semplice rappresentazione visiva di un testo e giungesse alla concretizzazione di un’idea, a volte del tutto scissa da qualunque fonte scritta, questo si deve anche e soprattutto alla rivoluzione scenica di Gordon Graig, un regista ed attore a cui molti fanno riferimento ancora oggi.
Gordon Craig ha voluto conferire artisticità al teatro ed elevare la messinscena a mezzo di espressione artistica autonoma in una visione della scena completamente innovativa ed aperta ad ogni infinita possibilità di movimento con una continuità spaziale assoluta e modulabile in cui il corpo dell’attore diventa un elemento di perfezione meccanica.
Nella visione scenica di Craig la scena non è più il luogo fisico del dramma ma diviene dramma essa stessa, suggerisce stati d’animo e possiede una potenza espressiva che andrà oltre i limiti del testo: una scena che non dovrà più raccontare ma suggestionare e quindi alludere a più significati.
L’eccezionalità delle sue teorie sceniche, che ancora oggi a distanza di decenni appaiono rivoluzionarie, è stata resa possibile dall’invenzione dell’illuminazione elettrica, che ha comportato una maggiore consapevolezza del nuovo ruolo della luce sulla scena. La nuova illuminazione ha permesso di eliminare gli inutili orpelli decorativi della scena naturalistica del XIX secolo.
Nella formazione del regista inglese appare evidente la conoscenza minuziosa dell’arte figurativa italiana, soprattutto quella rinascimentale, attraverso cui costruirà la sua idea di una scena dinamica e modulabile, plasmabile sia nel pavimento che nel soffitto attraverso pannelli, i famosi Screens detti anche Le mille scene in una, moduli originati dal pavimento e dalle pareti della scatola scenica. Gli Screens nascono sotto la chiara influenza dell’architetto e teorico Sebastiano Serlio che nei suoi trattati postula l’dea di una divisione del palcoscenico in griglie di quadrati per realizzare la prospettiva tridimensionale di una scena.
Craig utilizza dei potenti riflettori ad incandescenza che posiziona sul fondo della sala teatrale e che governa attraverso una sorta di cabina di regia, spesso proiettandoli, soprattutto nei suoi spettacoli iniziali come Didone ed Enea e Aci e Galatea, su enormi pannelli di seta trasparente dietro i quali si muoveranno i corpi degli attori creando dei giochi di luce ed ombra molto suggestivi anche per via dell’uso di luci colorate.
Nel suo progetto più importate e rivoluzionario, l’Amleto, purtroppo mai andato in scena con le sue direttive e rimasto solo una bellissima pagina di storia del teatro, progetto che vide Craig impegnato a scontrarsi con la co-regia di Stanjslasvkij, il contributo dell’illuminazione sarà determinante per la teorizzazione di una dimensione scenica in cui soprattutto attraverso i raggi di luce e le lunghe ombre da essi generate sarà possibile ipotizzare una messinscena che racconti l’indicibile contrasto tra il mondo dell’apparenza e la realtà della sostanza, sottile dicotomia a cui Shakespeare ci ha abituati attraverso molti suoi capolavori ma che prima di Craig nessuno aveva mai osato porre in scena in modo così spettacolare.
Questa rivoluzione di portata eccezionale è stata possibile grazie ad un coraggioso e nuovo modo di pensare all’uso della luce sulla scena, una rivoluzione verso cui tutti, non solo gli addetti ai lavori, sono oggi enormemente debitori.
ARTICOLO DI KATIA MANIELLO
L’ articolo è presente sul magazine online polytroponmagazine.com
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